Il '68 dell'Alpinismo

29 Febbraio 2024

Inizio: 21:00

Luogo: Sede CAI Ligure

La «rivoluzione» delle vette si gioca in gran parte attorno al tema dello strapotere della tecnologia. Dal dopoguerra in avanti, infatti, l’evoluzione dell’alpinismo aveva preso sempre più la direzione di un costante perfezionamento dei mezzi per la scalata artificiale. Una alla volta, anche le linee più repulsive e strapiombanti che si potessero immaginare sulle grandi montagne delle Alpi avevano finito per cedere all’ambizione degli scalatori e al loro armamentario tecnologico.
Nel momento in cui, con i mezzi adeguati e la giusta dose di tenacia, si poteva immaginare di poter superare ogni ostacolo, lo spettro dell’impossibile finiva però per svanire dall’orizzonte alpino e con esso quel senso di incertezza e quello spirito di avventura che costituiscono da sempre il motore stesso dell’alpinismo. Una verità scomoda che Reinhold Messner sarà fra i primi a denunciare con poche e folgoranti parole: «Il Drago e morto e l’eroe Sigfrido e disoccupato!». Il ’68 dell’alpinismo e in gran parte questo: il tentativo di uscire dalle secche del tecnicismo e ridare fiato al Drago, al bruciante soffio dell’avventura.
Ma c’è anche qualcosa di più. I cambiamenti di costume e cultura non possono non far sentire la loro influenza anche sugli scalatori che, volenti o nolenti, sono pur sempre espressione del tempo e della società in cui vivono. Negli anni Sessanta il mondo di «laggiù» si avvia con una velocita inusitata verso trasformazioni destinate a rinnovarne completamente la fisionomia, mettendo in discussione istituzioni, rapporti di potere, miti, valori e credenze secolari. Gli alpinisti all’inizio sembrano non accorgersene. Continuano ad andare in montagna come se nulla fosse, fingendo di poter ancora credere nelle certezze figlie di un tempo andato: l’eroismo, il sacrificio, la conquista, «la lotta con l’Alpe utile come il lavoro, nobile come un’arte, bella come una fede». Ma gli uomini che vanno in montagna in questi anni non sono più gli stessi di prima. Ci sono nuove generazioni a cui quelle certezze non appartengono già più. Non sono più espressione della loro anima, ma solo etichette posticce, superstizioni, che però e difficile scrollarsi di dosso.
Ci vuole fantasia, visione e coraggio per mettersi in discussione, svestire le divise e le finte sicurezze del passato e andare incontro all’avventura del domani. Gli alpinisti ci metteranno un po’ a farlo, tant’e vero che il ’68 delle montagne, inteso come movimento «di massa», comincerà con un ritardo di almeno quattro o cinque anni rispetto a quello che si consuma nelle strade e nelle piazze delle città.
Già nel corso degli anni Sessanta però, non mancano, anche fra gli scalatori, voci che cantano decisamente fuori dal coro, personalità straordinarie che, con le loro idee innovative e con l’azione concreta sulle pareti, danno un contributo essenziale per ridare vitalità e slancio creativo all’alpinismo, traghettandolo dalle atmosfere ormai cupe del tramonto dell’epoca eroica a un gioioso Nuovo Mattino.
Serafino Ripamonti e Sara Sottocornola, in questo volume, tracciano il profilo degli anni e dei personaggi che hanno aperto le porte all’epoca contemporanea dell’alpinismo e dell’arrampicata.